Al primo incontro di laboratorio, Anna si è guardata intorno e ha detto: “Ma come faremo a stare insieme? Siamo troppo diversi!”.
Vero! La sfida di Periferie Urbane in Scena, il laboratorio teatrale di quartiere curato da AMA per Asteroide B167, è stata quella di far convivere, nello stesso spazio, generazioni, esperienze e visioni molto diverse tra loro: far dialogare, attraverso il teatro, sensibilità profonde di donne adulte come Anna, Antonella, Ilaria, Gabriella, sguardi curiosi dei tredicenni Eduardo e Alessandro o quelli luminosi dei giovani migranti Courage, Vassanci Toure, Diatta Amadou e, ancora, energie in fermento come quelle di tati giovani studenti, del Liceo Banzi e non, Roberto, Viola, Alma, Francesco, Alessio, Maia, Andrea, Nicolò, Giacomo, Mirko, Gloria.
Un gruppo di lavoro, guidato dalle attrici e pedagoghe Carmen Ines Tarantino e Veronica Mele, con il coordinamento di Franco Ungaro, molto variegato, in cui le differenze erano evidenti e non soltanto nell’età che spaziava dai 13 ai 50 anni, ma anche nella provenienza, nelle esperienze e nel modo di vivere il quartiere: per gli studenti più grandi, la 167 era la zona in cui c’è la scuola, per il resto era ai loro occhi un’area semisconosciuta; per i più piccoli, Alessandro ed Eduardo, è “uno dei posti più belli della città” che li avvicina agli autori della loro musica preferita e che li fa sentire parte di una comunità internazionale, quella delle periferie urbane di tutto il mondo, che dal disagio fa nascere arte, musica, letteratura. Per le persone più adulte, la 167 è un quartiere con una storia di decenni, fatta di “momenti belli e brutti”, come scriverà una di loro nel suo monologo.
Alla fine di un percorso, che è stato lungo e pieno di imprevisti in un anno molto particolare come il 2020, è nato un cortometraggio, realizzato assieme a Mattia Epifani di Muud Film, entrato nella squadra di AMA nell’ultima fase del laboratorio. Il cortometraggio si intitola Incroci, vite, sguardi e desideri di un quartiere: frutto di un lavoro collettivo di mesi che si è nutrito di informazioni, incontri e contaminazioni tra persone, racconti ed emozioni e anche tra i diversi laboratori di Asteroide.
Si è partiti con la ricerca di pezzi di storia, indagini e interviste dal vivo e online. Dal professore di Lettere Marco Ugenti, incontrato per caso a scuola, che si è seduto in aula con noi per raccontare il suo trasferimento nella 167 di Lecce quando era ancora un ragazzino e il quartiere un cantiere ancora aperto; al signor Massimo Mannarino che, nella sua «vita precedente», aveva un negozietto, lì alla 167B, e che decise di chiudere dopo gli anni del maxi-processo alla Sacra Corona Unita, «anni difficili» che fece vivere a quella zona di Lecce un lockdown ante-litteram. Un quartiere a cui comunque si vuole bene, perché sì, erano gli anni Ottanta, i lavori di arredo urbano erano lenti e allora gli abitanti si autotassarono per piantare gli alberelli su tutto il viale («un atto abusivo, ma che non fu mai né multato né rimosso»); c’è l’adolescente che ha visto la ragazza più bella del mondo che si affacciava al balcone della palazzina vicina alla propria («allora mica c’erano i social!») e che alla fine sarebbe diventata sua moglie.
E poi le interviste fatte agli abitanti di Piazzale Cuneo, nella 167C, che ci hanno aperto le case nel giorno di Santa Lucia, dove i ragazzi dei laboratori di Asteroide sono andati dalle tre del pomeriggio a tirar su alberelli natalizi e gazebo, a montare paline a energia solare per illuminare il parchetto dei bambini, mentre un’associazione di residenti instancabili, Villeggiatura in Panchina, accendeva un intero pezzo di quartiere con il presepe di comunità.
La sensazione di non essere riusciti a fare abbastanza ci ha accompagnato per tutto il tempo: avremmo voluto dare voce a ogni racconto di vita regalato: tutti straordinari, come le microinterviste fatte dai giovani Gloria e Alessio a un gruppo di bambini che giocavano o su un campetto di cemento, facendo emergere dalle registrazioni sogni e desideri semplici, concreti: «Ci basta giocare senza la paura di farci male con i vetri di una bottiglia rotta».
Qualcuno si è perso per strada, qualcun altro – tanti, come Lorenzo, Pierandrea, Mattia, Sarah, Enrico, don Gerardo – si è aggiunto nell’ultimo miglio di un percorso lungo e con alcuni imprevisti da superare, primo fra tutti l’emergenza da Covid19 che in primavera ha chiuso tutti nelle proprie case, costringendo a riprogettare in modo pressoché inedito le pratiche teatrali.
Ma, come dice Albert Einstein, “è nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze” e il risultato del percorso ha dato vita a un racconto, intimo e delicato e allo stesso tempo universale, della vita di quartiere, della periferia che si rigenera.
Anche chi, per varie ragioni, ha a un certo punto preso altre strade, ha comunque lasciato al laboratorio di Periferie urbane in scena una piccola eredità da condividere: racconti, suggestioni, immagini, spunti di regia e soprattutto testi drammaturgici molto belli, nati dall’inventiva e dallo scambio di esperienze tra vissuti che molto raramente, nel quotidiano, hanno occasione di incontrarsi.
Il viaggio comincia soltanto adesso, il piccolo pianeta Asteroide B 167 porta a casa i primi risultati di un’esplorazione che può soltanto continuare.